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TRAD CLIMBING con PAOLO MARAZZI: NON È PER SEMPRE

2016/7/26 9:29:39

Paolo Marazzi è un atleta ufficiale Arc'teryx, La Sportiva, Black Diamond e Smith, sotto la mole di capelli e barba si nasconde uno dei migliori free-telemarker italiani (guardate il bellissimo SMOG2015), ma soprattutto uno degli esponenti più attivi del movimento TRAD CLIMBING italiano. Paolo ci accompagnerà per mano nel lato oscuro dell'arrampicata, dove Friend non significa Amico, Nut non significa Nocciolina e lo Stopper non è un giocatore di calcio. Benvenuti nel mondo TRAD.

Storia di pochi metri in un mondo parallelo

King Of The Bongo 1

Con i nostri classici orari, sveglia alle 10.00 del mattino, iniziammo a risalire le fisse e in circa  un’oretta siamo alla sosta più alta. Neanche farlo apposta toccava a me aprire il tiro.  Mentre iniziavo i pensieri variavano tra loro, ma avevano tutti un filo conduttore: “Dio… questa lama fa davvero schifo”; “non mi regge, sicuro”; “si muove, si rompe, la devo fare in artificiale”. Presa coscienza di quei quindici metri schifosi cerco di calmarmi un attimo rollandomi una sigaretta mentre preparo il materiale necessario: tutta roba micro, la lama è davvero piccola. Parto. Un passo in libera e piazzo il primo friends che allarga la lama appena mi appendo. Ok, si cambia metodo.

- Luchino passami i micro-nuts e tieniti pure i friends che allargano la fessura appena li carico.-  

E così ebbe inizio, centimetro dopo centimetro, metro dopo metro quella che sarebbe poi stata una vera e propria “Lama di merda!”; dondolava, si rompeva, per ben due volte mi si è pure abbassato il nut appena l’ho caricato.

Di sicuro un vero artificialista, quando e se mai leggerà questi miei pensieri, si metterà a ridere. Penserà alle sue salite e dirà: “sei giovane.. ne hai ancora di roccia da scalare”. Certo ha ragione, sono giovane e non avevo mai aperto in artificiale e soprattutto non avevo mai  aperto in artificiale un tiro che presentasse un pericolo oggettivo cosi alto per me. Però è stato magico, è stata un’esperienza che mi ha lasciato qualcosa, potrei quasi dire che mi ha fatto crescere.

King of the Bongo 2

Quando parti è come entrare in una sorta di trip alchemico: i rumori esterni non esistono più, il rumore del ferro che sfrega e scivola sul granito invece si accentua e ti fa venire la pelle d’oca, in testa ti rimbomba il rumore del martello che batte per togliere il primo labbro della lama, ma piano piano, con delicatezza. Non può essere un battere arrogante e sicuro, a quella lama io ci sono appeso e LEI deve rimanere lì dov’è, integra. Anche l’altezza scompare, non esiste più, né in su né in giù, in quel momento si arrampica e si vive in un metro quadrato, non conta se si è a 20cm da terra o nel vuoto a 600 metri. Il sapore amaro che ti lascia la sigaretta in bocca non lo senti perché sei dentro nel tuo microcosmo.

King of the Bongo 3

Ci abbiamo messo un giorno intero a salire quella lunghezza, da mattina a sera per un singolo tiro. Io ho aperto la prima parte e Luchino la seconda. Da allora è passato un anno intero prima che qualcuno salisse quella “lama di merda” in libera. Luchino se lo sentiva dentro. Un anno dopo, ancora una volta appesi in sosta rivivevamo vecchie sensazioni.

Come se avessimo viaggiato nel tempo, avessimo dimenticato un intero anno, guardavamo Luchino accarezzare con rispetto e lussuria quella scaglia di granito e tutti i ricordi di quella lunghissima giornata “artificiale” sono riaffiorati in un istante. Ci abbiamo messo un anno per salire King of the Bongo, ma è qualcosa che rimarrà dentro di noi per sempre, non solo per la difficoltà, ma soprattutto per le emozioni e le sensazioni che ci ha regalato.

-- Alla Prossima --

Tutte le foto @Riky Felderer 

 

King of the Bongo 4
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